IO SONO MISIA

04 Mar 2016 IO SONO MISIA di Vittorio Cielo con LUCREZIA LANTE DELLA ROVERE/ Caserta TEATRO DUEL

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Liberamente ispirato alle memorie di Misia Sert, alle confidenze, messaggi, lettere, di Proust, Stravinsky, Diaghilev, Nijinsky, Debussy, Toulouse-Lautrec, Picasso, Ravel, Cocteau… su Misia, la regina di Parigi.
di Vittorio Cielo
 
regia Francesco Zecca
 
con Lucrezia Lante della Rovere 
 
luci Pasquale Mari
scene Gianluca Amodio
costumi Alessandro Lai
musiche Diego Buongiorno
regista assistente Arcangelo Iannace
produzione Compagnia Stabile del Molise in collaborazione con DoppioSogno
promosso da Fondazione Devlata
Atto unico – con rumori d’epoca, e musiche dedicate, o nate, in casa di Misia.
Io non partorisco. Io-Faccio-Partorire. Gli uomini hanno bisogno di una sfinge, per partorire… la bellezza. Per diventare artisti.
Io li faccio partorire. Li ho fatti partorire, tutti!… Dicono che il mio talento sia saper annusare il talento. Dove tutti vedono un nano, io vedo un Toulouse-Lautrec. Se c’e una tizia a occhi bassi, contro il muro, io sento profumo di Cocò, nel senso che avrà per le donne, Chanel.
Sono una cercatrice di geni. Una cercatrice di meraviglie umane.
Detesto suonare. Perché amo la musica. Ho imparato sulle ginocchia di Liszt vecchio, la faccia tutta verruche come la scorza di un albero, i capelli lunghi a bacchetta, bianchi come un salice ghiacciato, che cadevano su di me.
Con i miei occhi color malva, ho visto ora dopo ora, inevitabilmente… Pablo Ruiz trasformarsi nel mostro-Picasso. Debussy disteso sui miei divani, sognare il sesso del fauno. Cocteau fare la corte agli attori come in Marocco. Stravinsky incendiarsi nella Sagra di Primavera. Ravel ricamare musica per dispetto di Satie.
Il carnefice di ballerini Diaghilev, il Domatore di Nijinsky, far impazzire quel dio della danza.
E Proust, scrivere ogni cosa, ogni parola… detta da tutti. Fino a mettermi nella seconda riga, della prima pagina, della Recherche.
Il libro che non finirà mai, perchè il Tempo… è infinito.
Come il genio che divampa negli uomini.
Le università la chiamano ‘cultura’. Io la chiamavo: averli tutti a cena da me, a casa.